Qualche numero, curioso, per rendere meglio l’entità del problema:
Se si volesse descrivere, generalizzando, l’approccio che il pescatore ha con il pesce, questo appare come una lotta, o meglio una caccia spietata, che l’uomo sta stravincendo grazie alla grande innovazione tecnologica introdotta per ridurre i rischi del mare e aumentare l’efficienza nella pesca. Sembra che l’uomo, in questo caso l’industria della pesca, stia vivendo una sorta di frenesia alimentare: una “trance” che coglie certi predatori durante la caccia, che li costringe a uccidere anche animali di cui non si nutriranno, senza fermarsi e senza uno scopo reale.
Anche nel consumatore appaiono segni di questa frenesia, pensiamo alla formula “all you can eat” di molte proposte sushi, di bassa o bassissima qualità.
La responsabilità quindi sta nelle azioni indiscriminate portate avanti dalle aziende di pesca industriale o è a carico del consumatore e delle proprie scelte?
Qualunque sia la risposta a subirne le conseguenze per primi sono i grandi pesci, perché più convenienti dal punto di vista commerciale (più facili da pulire e venduti in tranci). Ma sono anche i più longevi, lenti nel riprodursi e meno numerosi: lʼinsieme di questi fattori li espone più degli altri al rischio di estinzione.
La causa va imputata ad entrambe le parti: all’industria della pesca che fa razzia indiscriminata dei mari di tutto il mondo, ma anche al consumatore, che non tiene in conto di poter influenzare il mercato, riducendo la domanda di pesce, o spostandola verso specie le cui popolazioni sono meno a rischio di esaurimento.